Furono coniate nella zecca di Alinda di Caria, e la maggior parte di queste monete riproducono nel verso il tipo monetario principale di questa città: la pelle di leone posata sopra la clava di Ercole. Non perciò perché Coponio volesse ricordare la sua origine da Tivoli, sacra ad Ercole, come hanno scritto, ancora nel XX secolo, tutti gli storici locali. Nel recto vi è la testa di Apollo, tipico delle monete di altre città della Caria, come Alabanda e Antiochia. Anche altre monete fatte coniare dai Pompeiani copiarono i tipi delle monete delle città dove si erano istallati, per una comprensibile facilità di coniazione e di successiva circolazione. Ritornando al nostro denarius osserviamo che la testa di Apollo con diadema, è rivolta a destra, al di sotto vi è una stella. La scritta è: Q. SICINIVS. III. VIR. (una variante risulta con la testa rivolta a sinistra, e sotto, qualche volta, senza stella).
Nel verso vi è una clava in piedi, sulla quale sta la pelle del leone, tra un arco e una freccia. La scritta è: C. COPONIVS. PR. S. C. (CAIUS COPONIUS PRAETOR SENATUS CONSULTO).
Naturalmente la fortuna non arrise a Coponio e a tutti i Pompeiani, tanto è vero che fu proscritto dai triumviri nel 43 avanti Cristo, ottenne però più tardi, con altri, il perdono da Marco Antonio. In seguito è ricordato brevemente, prima della battaglia di Azio, come suocero di Silio e come un membro del Senato molto rispettato. Naturalmente anche per questa famiglia tiburtina, gli storici locali si affrettarono ad identificare il sito di una villa, in particolare il primo a parlarne è Antonio del Re nel 1611: «Nell'istessi luoghi Cicerone (nel brano da pro Cornelio Balbo 53. -n.d.c.), & Fulvio Orsino fanno mentione di TITO COPONIO primo, & TITO secondo, & CAIO COPONII suoi nipoti, i quali fiorirono in Roma nel tempo di Cicerone, uno di questa fameglia coniò moneta, & vi impresse la clava d'Hercole, con la pelle dei leone di sopra, per mostrare esser disceso da Tivoli, come diremo più à pieno nel cap. 10. La Villa di costoro fù nella contrada detta la Quaregna lunge da Tivoli vicino ad un miglio, le cui rovine si scorgono sotto la fabrica della villa de'Padri Gesuiti di Tivoli, & ivi d'intorno sparsamente. Il luogo si dice corrottamente COVONE in vece di COPONE, mettendo il P. in V. solito farsi facilmente da' Toscani, & Lombardi, ch'in vece di soperchio, coperchio, coperta, ricoperare, sopra, soprano, dicono con molta vaghezza, souerchio, coverchio, coverta, ricoverare, sovra, sovrano, & altri simili; & alcuni più corrompendolo dicono, CAVONE, credendo esser così detto dalla strada cupa. [.]. ».
Cairoli F. Giuliani non esclude che i ruderi di cui parla Antonio del Re e poi gli storici tiburtini successivi si riferiscano al complesso di conserve e resti di villa, al chilometro 0,850 della Via Empolitana. Del complesso di conserve, tagliate nel 1940 dalla strada, l'elemento più cospicuo, ancora visibile, è una cisterna circolare (diametro m. 17,00; altezza m. 1,55) in calcestruzzo intonacato, con opus signinum, cui si addossano altri muri, tutti pertinenti ad opere idrauliche, circa cinquanta metri prima di Piazzale Saragat, presso il Cimitero, cfr. TIBUR II 1966, pag. 79 sg., nn. 85-86.
(aprile 2015)