Denarius con il pretore Coponio dell'anno 49 a.C.

a cura di Roberto Borgia

Lo storico tiburtino Marco Antonio Nicodemi nel terzo libro della sua Tiburis urbis historia, scritta in un elegante latino nell'anno 1589 (della quale esiste un solo incompleto esemplare a stampa, conservato presso la Biblioteca Alessandrina dell'Università "Sapienza" di Roma) ricorda la gens Coponia:
«Questa gente dei Coponii, che forse traeva l'origine da Capaneo, principe argivo, la cui famiglia era venuta con Tiburto in Italia in quei tempi antichissimi, si pensa che qualche volta venisse chiamata Cauponia, [.].
Questi Coponii ebbero grande prestigio nella città di Tivoli e non poco prestigio a Roma. Infatti Tito
(non si tratta di Tito, ma di un indeterminato Coponio, probabilmente lo stesso nominato poi sulla moneta -n.d.c.) Coponio, nipote di C. Coponio, fu prefetto di Carre, città della Mesopotamia, e liberò Crasso dal sovrastante pericolo dei Parti, dai quali era stato vinto, e lo fece ricoverare in questa città insieme all'esercito superstite, come narra Plutarco nella vita di Crasso. Un medesimo C. Coponio, altro nipote, uomo prudente e dotto insieme ai più ragguardevoli cittadini, ebbe il comando supremo della flotta di Rodi, che contava sedici navi. Ma dovendo attaccare la flotta di Antonio, conoscendo benissimo quanto importasse a Pompeo e al Senato che quella flotta non si riunisse con Cesare, sperando di poter superare con la fatica e la perseveranza anche il crescente vento di Austro, dal quale era respinto, nel momento che cambiò il vento d'Austro in Libeccio, con incredibile fortuna di Cesare, fece naufragio, come Cesare narra nel suo commentario sulla guerra civile.
Di questo Coponio circola una moneta d'argento, nel cui recto vi è la sua immagine, nel verso la clava di Ercole, sulla quale è ravvolta una pelle leonina circondata dalle seguenti lettere: C. COPONIVS. PRAET. S. C.
».


Ingrandisce foto Verso del Denarius

Perciò inseriamo nel Museo Virtuale di Tivoli anche questo denarius d'argento, nel recto del quale, non c'è però Coponio, ma la testa di Apollo. Un solo membro della gens Sicinia fece coniare moneta nell'antica Roma, triumvir monetalis nel 49 avanti Cristo. Questo denarius porta perciò con il suo nome, anche quello del suddetto pretore C. Coponius, a causa delle eccezionali circostanze in cui ebbe luogo l'emissione, cioè in piena guerra civile tra Cesare e Pompeo.
Quest'ultimo, che era fuggito in Oriente con tutto il Senato e le truppe a lui fedeli, aveva affidato una parte della sua flotta proprio al pretore C. Coponius (come già ci ha ricordato Nicodemi), che aveva fatto gettare le ancore sulla costa della Caria e dell'isola di Rodi. Naturalmente il pretore Coponius era obbligato a battere moneta per pagare le sue truppe, ne incaricò quindi uno dei membri del collegio monetario di quell'anno, che l'accompagnava, cioè Q. Sicinius. Questo era naturalmente un magistrato urbano di Roma, e per far sì che le nuove monete potessero avere corso legale ed essere utilizzabili nel commercio in Oriente, dovette testimoniare sulle monete stesse che venivano coniate sotto l'autorità del pretore (C. Coponius), che comandava le truppe, e con il beneplacito del Senato.

Furono coniate nella zecca di Alinda di Caria, e la maggior parte di queste monete riproducono nel verso il tipo monetario principale di questa città: la pelle di leone posata sopra la clava di Ercole. Non perciò perché Coponio volesse ricordare la sua origine da Tivoli, sacra ad Ercole, come hanno scritto, ancora nel XX secolo, tutti gli storici locali. Nel recto vi è la testa di Apollo, tipico delle monete di altre città della Caria, come Alabanda e Antiochia. Anche altre monete fatte coniare dai Pompeiani copiarono i tipi delle monete delle città dove si erano istallati, per una comprensibile facilità di coniazione e di successiva circolazione. Ritornando al nostro denarius osserviamo che la testa di Apollo con diadema, è rivolta a destra, al di sotto vi è una stella. La scritta è: Q. SICINIVS. III. VIR. (una variante risulta con la testa rivolta a sinistra, e sotto, qualche volta, senza stella).
Nel verso vi è una clava in piedi, sulla quale sta la pelle del leone, tra un arco e una freccia. La scritta è: C. COPONIVS. PR. S. C. (CAIUS COPONIUS PRAETOR SENATUS CONSULTO).


Ingrandisce foto Recto del Denarius

Naturalmente la fortuna non arrise a Coponio e a tutti i Pompeiani, tanto è vero che fu proscritto dai triumviri nel 43 avanti Cristo, ottenne però più tardi, con altri, il perdono da Marco Antonio. In seguito è ricordato brevemente, prima della battaglia di Azio, come suocero di Silio e come un membro del Senato molto rispettato. Naturalmente anche per questa famiglia tiburtina, gli storici locali si affrettarono ad identificare il sito di una villa, in particolare il primo a parlarne è Antonio del Re nel 1611: «Nell'istessi luoghi Cicerone (nel brano da pro Cornelio Balbo 53. -n.d.c.), & Fulvio Orsino fanno mentione di TITO COPONIO primo, & TITO secondo, & CAIO COPONII suoi nipoti, i quali fiorirono in Roma nel tempo di Cicerone, uno di questa fameglia coniò moneta, & vi impresse la clava d'Hercole, con la pelle dei leone di sopra, per mostrare esser disceso da Tivoli, come diremo più à pieno nel cap. 10. La Villa di costoro fù nella contrada detta la Quaregna lunge da Tivoli vicino ad un miglio, le cui rovine si scorgono sotto la fabrica della villa de'Padri Gesuiti di Tivoli, & ivi d'intorno sparsamente. Il luogo si dice corrottamente COVONE in vece di COPONE, mettendo il P. in V. solito farsi facilmente da' Toscani, & Lombardi, ch'in vece di soperchio, coperchio, coperta, ricoperare, sopra, soprano, dicono con molta vaghezza, souerchio, coverchio, coverta, ricoverare, sovra, sovrano, & altri simili; & alcuni più corrompendolo dicono, CAVONE, credendo esser così detto dalla strada cupa. [.]. ».

Cairoli F. Giuliani non esclude che i ruderi di cui parla Antonio del Re e poi gli storici tiburtini successivi si riferiscano al complesso di conserve e resti di villa, al chilometro 0,850 della Via Empolitana. Del complesso di conserve, tagliate nel 1940 dalla strada, l'elemento più cospicuo, ancora visibile, è una cisterna circolare (diametro m. 17,00; altezza m. 1,55) in calcestruzzo intonacato, con opus signinum, cui si addossano altri muri, tutti pertinenti ad opere idrauliche, circa cinquanta metri prima di Piazzale Saragat, presso il Cimitero, cfr. TIBUR II 1966, pag. 79 sg., nn. 85-86.

(aprile 2015)

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