Il corpo principale dell'edificio, composto da due grandi platee rettangolari, si insedia su un edificio rustico di modesta estensione collocato sul versante ovest del promontorio di Quintiliolo. Si distinguono interventi in opus incertum di calcare e in opera reticolata riconducibili ai vari interventi costruttivi. Senza l'ausilio di una pianta è impossibile descrivere esattamente, con semplicità, le funzioni dei vari ambienti. Va comunque precisata la presenza nell'angolo Sud-Est di una piscina per l'allevamento ittico. A Nord di questa è una terrazza sostenuta per tre lati da un criptoportico .
Un altro nucleo della villa, diversamente orientato rispetto al precedente sorge costeggiando la strada moderna, è a Est. All'estremità opposta di esso restano ambienti aggiunti successivamente. Sul lato Sud si apre un'altra terrazza per il giardinaggio. La Villa usufruiva di due acquedotti. Alla II fase edilizia (fine del I e primi decenni del II secolo d.C.) sono da ascrivere i grossi interventi di ampliamento della struttura.
A partire dal Rinascimento essa divenne meta di numerosi ricercatori,
che fecero incetta della "breccia quintilina", detta anche
"breccia di Tivoli", una rara pietra che si rinveniva in quantità
notevole fra quelle adoperate nei rivestimenti della villa
di Quintilio Varo. Dall'area della villa provengono materiali
vari scoperti nel corso di scavi regolamentari e abusivi,
più numerosi questi ultimi per il lungo stato di mancata cura
e sorveglianza del sito.
Tali attività di scavo sono testimoniate anche dal Rinaldi (in "Guida a Tivoli divisa in 2 parti descritta dal Can.co D. Stanislao Rinaldi" del 1855) che riporta come
"furono in diversi tempi dissosterrate statue, colonne, musaici pellegrini, e nel secolo passato dal Cardinal Montino in gran quantità quella pietra di pregio, che chiamasi breccia di Quintiliolo"