Il tratto iniziale dell’acquedotto costeggiava la riva destra del fiume, per scavalcarlo con un ponte poco prima di Vicovaro ed affiancarsi al percorso dell’Anio Vetus (che procedeva ad una quota inferiore). Proseguiva poi verso Tivoli e quindi, aggirati i Monti Tiburtini passando lungo la ed via di Pomata, arrivava nei territori di ed Gallicano nel Lazio con una continua alternanza di tratti sospesi su ponti e arcate (di cui sono visibili numerosi reperti tra cui il famoso Ponte Lupo ed il Ponte S.Pietro) e tratti sotterranei.
Passando per la via Prenstina, raggiungeva la zona delle Capannelle per poi fiancheggiare la via Latina attraverso un mastodontico tratto di circa 9 km di arcate fino ad arrivava a Roma nella località "ad spem veterem", nei pressi di Porta Maggiore, dove giungevano anche altri acquedotti.
Da qui attraversava la Via Tiburtina su un arco che poi divenne Porta delle mura aureliane. L'acquedotto finiva nei pressi di Porta Viminale. Forniva acqua al Campidoglio e, con un ramo secondario, il rivus Herculaneus, dissetava i Romani del Celio e dell'Aventino.
Fu restaurato varie volte con interventi poco invasivi mentre fu in gran parte ricostruito sotto Augusto, tra l'11 e il 4 a. C. in seguito ad un incremento di portata, pressoché raddoppiata con la captazione della nuova sorgente “Aqua Augusta” nei pressi del comune di Agosta. Sotto Caracalla, nel 213, per servire le nuove terme, venne realizzata la diramazione dell’"aqua Antoniniana" (attraversavante la Via Appia su un arco, il cosidetto “Arco di Druso” mentre un altro ramo secondario fu utilizzato da Diocleziano per servire le sue terme. Sia Augusto, che Tito (che effetttuò lavori nel 79), che Caracalla, lasciarono sulla porta Tiburtina, tuttora visibili, delle iscrizioni a memoria dei loro interventi.
L'abbondanza e l'ottima qualità dell'acqua spinsero in tempi recenti papa Pio IX a ripristinare l'acquedotto, che fu nuovamente inaugurato l'11 settembre 1870.