Ricordiamo ancora la descrizione delle esequie del cardinale di Ferrara, contenuta non solo negli “Annali e Memorie di Tivoli”, ma stampata anche singolarmente a Roma tra il 1572 e il 1576, inoltre sua fu la scritta che alla porta del Colle accolse la salma del cardinale portata da Roma, dove era deceduto, a Tivoli, dove il 9 dicembre 1572 furono celebrate le esequie nella chiesa di S. Maria Maggiore (S. Francesco). Le “lettere” dettate da Zappi e affisse sulla Porta del Colle dicevano così:
ROMA TIBI MULTUM DEBET, FERRARIA MULTUM
PLUS TIBI TIBURTI DEBET AMATA DOMUS.
Ed infatti Zappi sottolinea poco oltre l’amore del cardinale di Ferrara per Tivoli: «Credo chiaramente che l’animo magnanimo di tal principe così raro portasse affettione a questa città più che a cosa che po-tesse desiderare al mondo, et che sia il vero vedasi che non ha voluto supportare esser sepelito né in Fer-ra¬ra sua patria, ove sono tutti i suoi antecessori, né meno in una Roma prima città del mondo ove sono tanti corpi di santi Pontefici, Re, Imperatori, Cardinali et altri principi et Signori, la bontà sua ripiena di vero amore verso questa città in la quale ha voluto sopportare in morte fare elettione del suo corpo esser sepelito in Tivoli, acciò si consideri quanto l’amava di cuore, cose rare et notabili, che tal Principe si raro habbia dimostrato un tal atto degno di ogni laude, et gloria. »
Nel disegno a penna di Zappi il cardinale di Ferrara appare vestito con la mozzetta cardinalizia, lo sguardo vivo, ma con quell’acre mestizia che accompagnò le ultime fasi della sua vita; la postura è altera, entro la signorile compostezza dei lineamenti, la luce delle pupille scure e pensose illumi-nano il pallore del volto austero incorniciato dalla barba bruna. Vi appare un grave accasciamento dell’organismo e dello spirito contro cui par che invano risplenda un bagliore di fiera rassegnazio-ne congiunto ad un'alta tenacia nel combatter la sorte. Si fa qui riferimento alla mancata elezione al soglio pontificio più volte tentata e sognata dal cardinale di Ferrara.
Facciamo concludere in fine da Vincenzo Pacifici: «Soddisfare la propria sete di gloria, gesto allora perfettamente morale, fu la nota predominante nell’animo di questo umanista. Se egli aspirò all’alto soglio della chiesa ed usò per salirvi anche la più vasta simonia, potrà questo forse far giudicare indegno un uomo che nella chiesa vide fin dai primi anni tanti esempi di corruttela e di cui il pontefice stesso aveva. abilmente sfruttato l’ambizione vendendogli a sempre più caro prezzo il cappello da cardinale? Un uomo a cui meno che vagamente eran noti i rigori della morale cattolica e che solo non era permeato dalle dottrine della riforma, pullulantigli dattorno nelle reggie, perché tendenti ad intaccare la fastosa maestà del papato inteso da lui come valore unicamente terreno? Poiché, è superfluo osservarlo, egli non fu cristiano nella giovinezza; e se ebbe un vago deismo, frammisto di superstizione e d’astrologia e di dubbi financo suI1a metempsicosi, questo non fu che una divinazione pagana della pulsante, infinita bellezza. Tutto subordinando alla bellezza, come la fede così la morale, rifuggi da ogni eccesso in una sua vita. e biasimò negli altri ogni eccesso; amò il perdono magnanimo, odiò i rigori dell’intolleranza, fu nel pensiero e nel gesto squisitamente signore».
(gennaio 2023)